Si narra secondo la leggenda che l’antica popolazione Azteca stava vagando di luogo in luogo in cerca di un simbolo offerto dagli dèi come segnale per poter finalmente fermarsi e costruire un luogo dove restare.
Fu così che videro un’aquila che mangiava un serpente sopra ad un cactus, e decisero di fermarsi e creare l’antica Tenochtitlan, a pochi chilometri dall’attuale Città del Messico.
É il simbolo che appare al centro della bandiera messicana.
Una cultura che è anche l’espressione dell’unione degli invasori, e delle culture indigene che abitavano questo paese.
Il venti di novembre, in Messico è festa Nazionale. Si celebra infatti il giorno dell’inizio della rivoluzione messicana, e non c’è luogo più adatto di Merida, capitale dello Yucatan, dove nella piazza grande, di fronte alla Casa Montejo, va in scena “dialogo con los conquistadores” .
Un indigeno maya, si aggira nella piazza, quando dal terrazzo della Casa Montejo esce proprio Francisco de Montejo, uno dei principali artefici della colonizzazione dello Yucatan, all’ora popolata dalla popolazione Maya.
“Abbiamo fondato la capitale qui perché ci ricordava la Merida romana di Spagna” dice Montejo, sporgendosi dal balcone posto al primo piano, mentre si espone reggendosi con entrambe le mani.
“Avete imposto la vostra forze e ci avete tolto la liberta” risponde l’indigeno, facendo un leggero passo in avanti e aprendo il petto.
“Abbiamo trovato rovine e siamo partiti da qui, costruendo questa chiesa”, risponde il conquistatore.
“Voi siete gli intrusi”.
“Noi abbiamo portato il progresso”.
“La nostra cultura era maestosa e non la rispettaste. Qui c’era prima la cultura maya e poi arrivaste voi. E ora siamo il risultato di un mix forzato. Oggi siamo una nuova razza, ma con l’essenza maya” dice l’indio, mentre parla e osserva la realtà attorno a sé e immaginando un passato che non può più tornare.
Le chiese che si possono trovare in tutta questa zona vennero infatti costruite utilizzando le pietre delle Piramidi, che sono state quasi interamente smantellate. In alcune chiese è ancora possibile vedere dei serpenti sulle pietre in bassorilievo, riconducibili alle vecchie costruzioni Maya. Di queste se ne possono trovare solo alcune, ed una è quella di Chichén Itzà a poche ore di viaggio da Merida.
Merida è chiamata la città bianca, che porta lo stesso nome dell’omonima citta spagnola, come accade con molte altre città messicane e non solo.
Merida è una se non la città più sicura del Messico.
Si mormora però che sia la città più sicura perché “c’è un tacito accordo fra la polizia, ed il governo con le famiglie dei Narcos.Si dice infatti che alcune delle famiglie dei Carteles più pericolosi del Messico abbiano scelto Merida come città in cui abitare. Chiediti perché è anche la città con il numero più alto di suicidi? Perché se viene ucciso qualcuno, viene fatto passare come suicidio” mi dice una ragazza che vive a Merida da anni ormai.
Si chiama Carina ed ha 34 anni con 1 figlio di undici.
É originaria di Ciudad Juerez, al confine con la città americana di El Paso, in Texas.
“Lasciai a 19 anni Ciudad Juerez, quando iniziò la guerra dei Narcos e da lì andai prima a Ciudad de Mexico e poi a Puebla. A Ciudad Juerez c’è molta violenza soprattutto verso le donne. Come essere umano ma come donna in primis ti senti molto insicura. Una volta una macchina mi ha seguita e ho chiesto aiuto ad una famiglia che mi ha aperto la porta fortunatamente”.
Voci di strada sussurrate, a bassa voce.
Carina si guarda sempre attorno quando parla e fa attenzione che le sue parole non escano troppo rumorose.
Sembra quasi che la verità faccia rumore e che non parlarne serva ad esorcizzare una piaga che non si vede, ma che c’è.
Me lo conferma anche Sergio, un tassista di Motul ad una sola ora di strada da Merida. Una piccola cittadina di provincia, con le piazza principale completamente rossa, dove si possono gustare los huevos a la motulena, (uova motulene) piatto tipico della città. Si possono trovare per esempio sopra al Mercado Municipal 20 de Noviembre (in memoria del giorno della rivoluzione appunto) dove si trova il Ristorante El Mirador gestito dal cuoco Eduard Vidal Alonzo. Sergio, originario di Motul, trasferitosi per anni a Playa del Carmen mi racconta di esser “tornato a Motul perchè è una cittadina molto tranquilla. Sono stato per più di dieci anni a lavorare a Playa del Carmen. Li, per esempio, ogni negozio deve pagare il pizzo a los Carteles altrimenti ti ammazzano”. Gli chiedo se è vero che Merida sia abitata dalle famiglie dei Narcos e mi dice che “si, si dice. Ma non so se è vero”.
Alcune cose le ritrovo anche a Chichén Itzà dove mi fermo a parlare con Miguel, un venditore originario di Pistè, a pochi chilometri di distanza. Miguel 51 anni venditore di suppellettili, anelli, collane per turisti, mi conferma alcune cose.
Mi racconta infatti che “c’è una differenza fra lo stato dello Yucatan e del Quintana Roo. Lo Yucatan (e quindi Merida) è più tranquillo perché ci sono cinque diversi reparti della polizia. Mentre a Quintana Roo solo uno. Ed è ben più semplice corrompere un reparto solo. Poi le navi che vanno verso Miami partono da Cancun ed è quella la tratta della Droga che usano i Carteles”. Parlando con la gente si possono avere conferme, ma anche sementite.
Come se tutte ciò fossero leggende.
Racconti, miti e realtà che fanno parte di questa penisola, e che stanno sostituendo i veri miti e le vere leggende.
Il vecchio che si mescola con il nuovo.
La realtà che si mescola con l’immaginazione.
La dura verità di un paese in mano ai narcotrafficanti e l’orgoglio antico della tradizione Maya.
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