Messico – Fra leggenda e realtà – parte 2 

“Un giorno, mentre ero a lavorare, nel Rancho, mi appoggiai ad un albero, a dormire un po’.
E mentre dormivo sentii il rumore degli zoccoli sul terreno, sulle pietre.
Vidi una sagoma che mi sembrava quella di un caballo montado…
 gridava contro los conquistadores.
Quella notte non chiusi occhio”.

Sembra la scena di un film. Un campo giallo, che si estende all’infinito, un messicano con il cappello abbassato sul volto, durante la siesta. E un fantasma che si aggira per il campo in groppa ad un cavallo. Celiano, un ex contadino che ora lavora in un piccolo negozietto di scarpe nel centro di Motul, nello stato dello Yucatan, mi racconta questo aneddoto quando gli chiedo qualcosa sulla loro tradizione, sulla loro storia. 
Una zona, lo Yucatan dove la storia si respira.
Dalla conquista da parte dei colonizzatori spagnoli, fino alla popolazione Maya.
 

Chichén Itzà, l’antica città Maya, fu fondata presumibilmente attorno al quinto secolo dopo Cristo. Ci vollero però altri 1.300 anni prima che venne scoperta, riportata alla luce e piano piano mostrata al mondo. Ora fa parte delle sette meraviglie del mondo moderno.
“Prima non esisteva una strada che collegasse Merida a Cancun. Chichén Itzà si trova infatti all’interno della selva (la foresta), e quindi era quasi impossibile vederla”.
Miguel ha 51 anni, parla ancora la lingua Maya con sua moglie e con i figli “che però lo studiano anche all’università. La lingua Maya viene insegnata ancora, soprattutto per ragioni di turismo”, mi dice allungando un braccialetto ad una turista interessata. Miguel lavora come venditore all’ingresso del complesso archeologico che attira giornalmente migliaia e migliaia di turisti.
“Alcuni però non se lo godono nemmeno. Oggi, per esempio, sono arrivati 60 autobus da Cancun. Arrivano, hanno una mezz’ora di tempo e poi ripartono” mi dice inclinando un po’ la testa ed esprimendo un leggero sorriso. 
La gente di questo posto come di tutti i luoghi invasi dal turismo, tiene alle loro tradizioni come figli da proteggere.
Si riconosce nella lingua, nelle gesta e nei costumi.
Nelle tradizioni.
Gli chiedo se ci siano ancora tradizioni antiche che vengono portate avanti in questi piccoli villaggi.
Miguel con la sua famiglia è nato e cresciuto nel
Pueblo (paese) più vicino, Pistè.
“Certo. Per esempio, noi non abbiamo il battezzo. La cultura Maya non era religiosa. Questo è stato importato dagli spagnoli. Noi pratichiamo ancora oggi quello che si chiama Hetzmek, ovvero una cerimonia che si fa al terzo mese per le femmine e al quarto mese per i maschi. La persona incaricata è normalmente il nonno, o tendenzialmente il più anziano della famiglia. Si prepara un tavolino con una tovaglia, e sopra vengono messi utensili, attrezzi, oggetti simbolici che possano ricordare un eventuale lavoro futuro, e vengono compiuti 9 giri a destra e 9 a sinistra. Lo si fa per augurare alla bimba o al bimbo un futuro dove si possano dedicare alle proprie mansioni e passioni”.
Nel mondo in cui sono cresciuto il valore di queste cerimonie o riti è stato ormai schiacciato dal consumismo.
Le cerimonie come il matrimonio, la comunione o il battezzo hanno oramai perduto il loro valore simbolico.
Ma c’è stato un tempo in cui anche da noi esse avevano un significato morale e spirituale.
La speranza è che anche da noi possa ritornare, e che in posti come questo, le tradizioni non perdano il loro valore.
In un luogo, immerso nella selva, che richiama tradizioni antiche e dove il rumore del vento si mescola con quello delle leggende.
 

Henrique, direttore di un Ostello a Merida, si dichiara come persona razionale.
Estremamente razionale.
“Io nella selva, per quanto razionale sono, vengo punto da zanzare, serpenti, ragni. Tutto mi punge nella selva, perché forse sono una presenza che la selva stessa vuole espellere” mi dice, mentre mi fa veder le cicatrici.
Nato a Merida, trasferitosi al nord con la famiglia dopo pochi mesi dalla nascita, inizia a studiare legge, per diventare avvocato.
“Iniziai a lavorare nelle compagnie petrolifere, per la tutela del rischio” mi dice, spiegandomi come le aziende petrolifere siano una di quelle con il rischio più alto. 
“Per poi capire che il mio lavoro era inutile in paese come il Messico.
Se corrompere un funzionario è più economico all’impresa rispetto alla formazione interna, ai corsi di sicurezza e al rispetto delle norme, l’azienda fa la scelta più economica.
Allora decisi di trasferirmi nella Selva, e precisamente nello stato di Campeche, a Champotón”,
mi dice mentre avanza con il busto, appoggia i gomiti sul tavolo e rallenta le parole.
“Una sera, mentre stavo tornando a casa dopo una cena da un mio amico, avvennero cose strane. Ero nella solita via. Qui, quando esci dalla via principale, la selva sa essere buia. Così buia che il colore nero sembra lucente in confronto. Improvvisamente iniziai a compiere azioni strane, senza un senso logico e mi ritrovai in una zona piena di arbusti. Ero accovacciato e il mio cervello mi stava dicendo che stavo percorrendo un sentiero troppo basso per un umano. Un sentiero per animali. Ma non ero cosciente, finché non mi tagliai un braccio e leccandomi il sangue della ferita ripresi coscienza quel secondo che bastò per farmi realizzare che stavo andando nella tana dei Coyote. Andai improvvisamente verso sinistra e riuscii ad uscire nella strada principale. Ormai avevo ripreso coscienza. Ma mi trovavo in un posto molto lontano da casa e non mi ricordo come abbia fatto a finire lì… Ora, se io fossi finito nella tana dei coyote, come stavo facendo, ecco che si sarebbe detto che l’hanno rapito le streghe, è stato preso dal Nahual… nessuno sarebbe andato a cercarmi nella tana dei coyote”.
Mi spiega come un essere umano, in una zona come la selva, o in una zona selvaggia, è suscettibile chimicamente al casador (a chi è di casa).
La sua, secondo l’Henrique razionale è stata semplicemente una spiegazione scientifica o chimica.
Henrique però mostra anche l’altro lato di sé.
Quello Maya.
Quello che in fondo, a questi miti, storie leggende, ci crede per davvero.
“Qualche settimana dopo, tornando a casa, vidi nel giardino di una casa una figura bianca, che mi sembrava una donna con un vestito bianco. Scomparve e me ne tornai a casa. Andai a letto ed ebbi un sogno così lucido da sembrare vero. Una donna, dall’aspetto brutto, si trasforma in bella, e mi sale sopra, cercando di strangolarmi. Io le prendo il braccio, la capovolgo e cadiamo dal letto, ma così in basso da sprofondare in un tunnel per depositarla dov’era necessario”.
Il giorno seguente Henrique, in paese raccontò il suo sogno.
E fu così che venne a conoscere della
leggenda di Xtabay.
“Secondo loro, io sono quello che ha sotterrato Xtabay.
Perché, per la gente di questi posti, un luogo non fiorisce, non prospera, perché si aggira ancora la presenza di Xtabay.
E solo nel momento in cui viene sotterrata, la regione può tornare a fiorire”. 

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