Dopo un rito di purificazione, il rituale continua, mentre gli stregoni minori, utilizzando erbe e pozioni magiche, purificano i visitatori che ne fanno richiesta.
Lo stregone più anziano comincia ordinando che venga acceso il fuoco e tutto assume un’altra sfumatura: l’incontro con l’ignoto.
Lo stupore più grande si ha quando si accende la stella a sei punte e avviene il sacrificio di una gallina nera che rappresenta il male da purificare.
Inizia la messa nera e durante la cerimonia viene fatta richiesta di purificare l’anima per continuare ad aiutare le persone a liberarsi dai loro mali.
Li chiamano riti di purificazione, per rimuovere l’oscurità che hanno trattenuto e per rendere la pulizia più efficace.
“El dia de los Brujos” , una tradizione nella Stato di Veracruz, serve per purificare le persone che ne hanno fatto richiesta e che spesso sono venute da molto lontano per liberarsi dai propri mali e attirare la fortuna nella propria vita.
Chi però a Veracruz è nato, cresciuto ed ha dovuto lasciare per rifarsi una vita è Jorge, 45 anni, che con la moglie Cristina e i figli Jafet di 22 e Yukari di 17, gestisce la “Taqueris El Jarocho” nella Calle Norte, nel centro di Playa del Carmen.
Non ha ricorso a riti magici per rifarsi una vita.
Da una situazione economica difficile ha scelto di emigrare in una zona turistica del Messico.
Lo stato di Quintana Roo, nella penisola dello Yucatan, ed ha aperto una Taqueria di strada, con una piastra, i recipienti per le verdure, vari tipi di carne e salse per realizzare Tacos, Burritos e Tortas .
É lo stesso Jorge a parlarmi de “el dia de lo Brujos”.
Quando mi parla delle sue tradizioni e della sua “comida” preferita, il suo sguardo si sofferma un attimo più in là rispetto a dove sta veramente guardando.
O più indietro.
A cercare, frugare e rovistare fra le immagini di un emigrato in casa.
Oltre al “dia de los Brujos”, per Jorge e la sua famiglia il 12 dicembre, giorno della Vergine di Guadalupe, è un giorno molto importante.
Proprio quel giorno di undici anni fa, simbolo di festa cattolica, ormai parte integrante della cultura messicana e rappresentata dal colore bianco nella bandiera, segnò l’inizio di un nuovo capitolo della sua vita, a Playa del Carmen.
“Fu un giorno molto triste perché lasciai casa. Mia madre, i miei fratelli e sorelle, amici. E non per scelta, ma per necessita”.
A Veracruz lavorava come operaio in una fabbrica per la produzione di “fritti e patatine”, mentre la moglie Cristina lavorava in un ristorante messicano chiamato “Catemaco Veracruz”.
Li si facevano i piatti tipici, ovvero la Mojarra, Topote (pesce fritto e marinato con cipolla, chile e limone), Tegogolo (un mollusco simile alle lumache preparato “alla messicana” con pomodoro, cipolla e peperoncino e si mangia con tostada o galletta salata), carne de chango (carne marinata).
“Qui non facciamo la cucina cotemaca perchè alla gente del posto non piace”.
Il cibo e le tradizioni sono il filo conduttore di una cultura, diversa di stato in stato, di Pueblo in Pueblo, ma unita appunto dalle sue diversità e dai riti celebrati.
Riti che hanno sì una certa importanza, ma che vengono accompagnati dal duro lavoro che fa realizzare i propri sogni. Quelli di Jorge sono cambiati nel tempo.
“Penso di essere una persona fortunata. Avevo il sogno di avere una famiglia, una moglie, dei figli, uno maschio e una femmina, di avere una casa e una macchina. E Dio mi ha dato tutto quanto”.
Venendo da un paese Europeo, che segue l’onda del successo, dell’arrivare più in là, della competizione, questi sogni mi sembrano così semplici da chiedermi se non si stia accontentando.
Oppure se siamo noi occidentali che stiamo sbagliando tutto.
“La vita a volte non ti dà ciò che vuoi, ma a me ha dato tutto e come essere umano e come uomo ti senti realizzato.
Le cose materiali vanno e vengono, ma i sentimenti e la vita spirituale vanno coltivate.
Io e mia moglie preghiamo molto, siamo cattolici, ma non andiamo sempre in chiesa… ogni tanto, ma siamo molto credenti”. Sogni che però sono cambiati nel corso degli anni.
“Da piccolo volevo lavorare nell’esercito. Essere un militare, proprio come mio fratello. Un giorno però, durante una missione militare in Chiapas è stato ucciso.
Non abbiamo mai saputo realmente come siano andate le cose, ma ci dissero che venne ucciso mentre tentava di salvare un compagno”.
Suo fratello mori a soli diciott’anni, mentre Jorge ne aveva dodici.
A venticinque anni, con la scomparsa anche del padre, si fece carico di una famiglia intera.
Dovette diventare adulto.
Essere un punto di riferimento per la madre, la sorella ed il fratello più piccoli, per la compagna Cristina e per i futuri figli. “No hay mal que por bien no venga” mi dice sorridendo (non tutto il male vien per nuocere).
“Pensiamo che la vita ci castighi, che sia ingiusta, ma invece ci dà delle prove per poter migliorare, per diventare quella persona che vogliamo essere. Per essere più umani”.
Il Messico vive una situazione attuale dove molti messicani si spostano verso altre zone benestanti per poter rifarsi una famiglia, o addirittura emigrano all’estero.
E non sono gli unici.
L’America latina con i suoi problemi economici e sociali spinge molte persone verso il confine a Nord fra il Messico stesso ed il nuovo Eldorado, gli Stati Uniti, che da anni stanno attuando una politica aggressiva verso quelle persone che stanno semplicemente cercando una speranza.
Persone che, come Jorge, cercano solamente un futuro migliore.
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